Porta San Gennaro, posta di fronte al borgo dei Vergini, è una delle porte più antiche di Napoli. Nota dalle fonti sin dal 928, fu demolita e ricostruita una prima volta in epoca ducale e una seconda nel 1537 durante il vicereame spagnolo per volontà di Don Pedro di Toledo. La porta fu dedicata a San Gennaro poiché rappresentava un passaggio obbligato per raggiungere le catacombe del santo patrono.
Nel 1656, al termine di una violentissima epidemia di peste, il Consiglio degli Eletti di Napoli deliberò che su tutte le porte cittadine fossero dipinte immagini votive in segno di ringraziamento per lo scampato pericolo dalla pestilenza. L’esecuzione delle opere fu affidata a Mattia Preti, affermatosi in quegli anni come uno dei pittori di spicco nel panorama artistico cittadino. Dei sette affreschi per le altrettante porte napoletane, quello di porta San Gennaro è l’unico rimasto e rappresenta un’importante testimonianza per la conoscenza della produzione pittorica pretiana, la cui opera fu fondamentale per tanti artisti partenopei e per la nascita della pittura barocca napoletana.
L’affresco rappresenta la Vergine Immacolata con il Bambino in braccio, affiancata da san Gennaro, san Francesco Saverio e santa Rosalia che intercedono per la fine del morbo.
La scena è divisa in due registri: in quello superiore la Vergine col Bambino in mezzo a una gloria di Angeli poggia su una falce di luna, tipico attributo iconografico dell’Immacolata Concezione. Da un lato San Gennaro in paramenti vescovili tiene tra le mani l’ampolla di sangue e dall’altro lato San Francesco Saverio ha il dito puntato verso il cartiglio con la scritta: S. FRANCISCUS XAVE… PATRONUS. Collocata in secondo piano in abito monacale è Santa Rosalia con una ghirlanda di rose che la incorona.
Nella parte bassa dell’affresco, sono raffigurate le disgrazie patite dagli abitanti della città flagellata dalla peste. A sinistra, ma oramai quasi illeggibile, è seduta sui gradini l’Allegoria della Peste raffigurata come una donna piena di piaghe e coperta di cenci, colta nell’atto di mordere se stessa, simbolo della malattia che si autoalimenta attraverso il contagio.
La storia conservativa dell’affresco appare molto travagliata: vent’anni dopo la realizzazione dell’edicola votiva, il dipinto fu danneggiato a causa del terribile terremoto del 1688 e, nella metà del Settecento, versava in un pessimo stato di conservazione. Alla fine dell’Ottocento si decise di restaurarlo, coprendolo con un composto di albume d’uovo e siero di latte che, combinandosi con il particellato atmosferico, lo rese quasi del tutto illeggibile.
L’ultimo restauro risale agli anni Novanta ma oggi la preziosa opera, che si presentava degradata e annerita per effetto degli agenti atmosferici inquinanti e della mancata manutenzione, è riportata interamente a nuova luce.

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Tempi di realizzazione REALIZZATO |
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Obiettivo di raccolta 30.000 € |
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Collaborazioni e partnership MIBACT – Comune di Napoli – ARen – ACEN – FAI – INFRACOOP – DEL CORE RESTYLING – RANIERI IMPIANTISTICA |